QUATTRO SALTI IN BICICLETTA | Odysseo

2022-06-19 00:09:50 By : Mr. Jack Zhang

Appuntamento ai Giardini pubblici… “Baden Powell”, in onore del fondatore dei boyscout, che ha scolpito negli animi indicazioni di epiche battaglie personali per dare un senso alla vita: “Guida da te la tua canoa”, “Vedi il peggio, ma guarda al meglio”, “Butta il cuore oltre l’ostacolo”, “La felicità non viene stando seduti ad aspettarla”.

Ancora nessuna presenza umana. Gli alberi intanto bisbigliano calorosamente tra di loro, il sole occhieggia tra i rami che zefiro fa leggiadramente danzare. Profumo inebriante di aria fresca, che voluttuosamente accarezza guance e braccia. Festante nei suoi drappeggi punteggiati di fiori, la dea Flora, immortalata artisticamente da Sandro Botticelli.

Una manciata di minuti di attesa, ed arrivano alla spicciolata, i partecipanti all’escursione ciclistica, organizzata da “Lega Ambiente” di Barletta, pilotata da Raffaele Corvasce, vulcano di iniziative. Trafelato, lingua penzoloni, varca il cancello l’immancabile ritardatario che giustifica il ritardo, aprendo teatralmente le braccia, con un… “impellente bisogno fisiologico all’ultimo momento!”

Nastro di partenza… una trentina di ciclisti, diversi per temperamento, professione, genere ed età. Cappelli gialli con visiera, mani al manubrio, un piede su un pedale e l’altro a terra nel misero fazzoletto di verde pubblico sopravvissuto miracolosamente in un territorio devastato negli ultimi decenni da pazzesche scelte urbanistiche che hanno privilegiato gli interessi di pochi palazzinari. Ultime raccomandazioni, occhi aperti, disciplina sulle strade, per riportare a casa, sana e salva, la pelle.

Un territorio è una realtà molto complessa che va dipanata, per comprenderla, in tutte le sue molteplici variabili, antropiche e naturalistiche. Per tutto il percorso vi provvede, la guida Marco Bruno, giovane atletico, biondo che il giorno precedente era stato alle prese con bambini di scuola elementare, curiosi, entusiasti della vita, ed in altre occasioni si inerpica per montagne, scivola lungo dirupi, attraversa boschi, percorre sentieri, campagne e lande deserte, trainando stuoli di amanti del trekking o di lunghe passeggiate a piedi.

Mediocre la condizione del manto di asfalto e della segnaletica lungo le strade provinciali. Sconnessi e dissestati, i viottoli di campagna, che costringono le biciclette a continui saltelli e manovre tortuose nel vano tentativo di evitare spuntoni di roccia, buche, solchi di carreggiate, pozzanghere. I pavimenti pelvici, le vesciche e gli intestini, confabulando tra di loro, esprimono un forte disagio e disappunto.

Compaiono all’orizzonte altri amanti della bicicletta, allora la mano si stacca dal manubrio e sventola allegramente. Quando, poi, giunge il frastuono dei trattori trainanti irroratori, erpici o frese, gli organizzatori ne invitano i conducenti a rallentare, con il classico gesto della mano che va su e giù.

I cigli delle strade si fanno onore con il rosso smagliante dei papaveri, il giallo ed il bianco dei cuscini di margherite.  I petali di malva evocano la filastrocca: “La donnina del male di denti va nel bosco tra mille lamenti, un poco di malva cogliere vuole per fare il decotto al dente che duole…”

Nuvole di calendule, che curavano naturalmente le ferite purulente, quando Fleming non aveva ancora scoperto la penicillina, corteggiano, con le corolle giallo-arancio, che a sera timidamente si rintanano nel proprio animo vegetale, i generosi ulivi.  Apprezzati per la bontà dell’olio e delle olive, poco invece per la sconosciuta virtù terapeutica delle foglie capaci di elasticizzare i vasi sanguigni, contrastare il colesterolo LDL ed il diabete, potenziare il sistema immunitario.

Immersa in un uliveto di recente impianto, in contrada “Tittadegna”, una vecchia masseria, senza nome, risalente ad un paio di secoli addietro. Restano in piedi solo alcuni muri maestri, disseminati per ampio raggio pezzi di tufi, pietre, calcinacci, travi, chiodi,  ferri arrugginiti. Sfasciume dappertutto.  Il pensiero corre a tutte le località della Terra funestate dalle guerre. Nessuno si avventura, il rischio di crolli dissuade anche i più ardimentosi.

Non sono molto dissimili le condizioni di staticità e funzionalità delle altre masserie, visitate in mattinata, quella degli Esperti, in contrada “Perazzo”e degli Antenisi.

Numerosi in Puglia questi agglomerati di edifici rurali di un’epoca ormai definitivamente alle spalle. Strutture socio-economiche comprendenti… caseggiati che ospitavano proprietari e mezzadri… stalle per cavalli, muli, buoi, pecore capre, conigli, galline, … depositi di attrezzi e veicoli di uso agricolo e pastorale.

Le imprese del tempo adoperavano come materiali da costruzione, pietra calcarea, calcarenite, mattoni di terra cotta, tegole, travi di legno, calce spenta.  Le masserie più grandi, fortificate e munite di cinte murarie appartenevano a famiglie nobili e di alto censo. Alla loro gestione provvedevano i massari.  Piccoli proprietari con la collaborazione dell’intera famiglia si prendevano direttamente cura delle terre e degli armenti.  Le più antiche risalgono al Seicento.

Allora il paesaggio agrario era molto diverso da quello attuale. La parte da leone la svolgeva il grano, varietà antiche, mietuto manualmente con le falci da contadini stremati dalla fatica e dal calore infernale dei campi sferzati dal sole estivo. A sera, cumuli di spighe, caricati su carri, alte ruote cerchiate di ferro, raggiungevano le aie, poi di là il prezioso cereale veniva stoccato nelle sicure fosse granarie.

All’epoca, velieri, zavorrati con basole di basalto per stabilizzarne l’assetto e l’equilibrio, attraccavano nel porto di Barletta. Scaricato il prezioso carico con cui si sarebbero lastricate in modo indistruttibile le strade, gli ingordi navigli fagocitavano il prezioso cereale, protetto da Cerere, dea dei campi, e puntavano la prua verso Napoli, la capitale del regno, la più bella città d’Europa.

Piante di fave, piselli, ceci, fagioli, lenticchie in crocicchi confabulavano con rape, finocchi, bietole, cavolfiori, dal sorgere del sole fino al tramonto.  Nelle frugali mense il sapore, la freschezza, la genuinità, e il profumo entusiasmavano le papille e le narici, assieme ad un bicchiere di nero vino di Troia.

Le viti, allora, erano alberelli lillipuziani rispetto ai mandorli, agli albicocchi, ai peschi, ai fichi, agli azzeruoli.  Ancora lontani ed inimmaginabili i tempi in cui vigneti, impiantati a tendone, con produzioni che nel breve lasso di tempo avrebbero portato al collasso il suolo agrario per i massicci dosaggi di concimi chimici e antiparassitari, e destabilizzato la qualità della vita di tutti gli esseri viventi.

L’orzo, l’avena, riconosciute ultimamente le strabilianti proprietà organolettiche, fanno bella mostra di sé sugli scaffali dei supermercati per una sana nutrizione umana, allora erano ridotti al rango inferiore, riempiendo le stalle, di alimentare animali da lavoro o da cortile.

Le cicale cantavano, le lucertole prendevano il sole, le rane gracidavano negli stagni, i passerotti trovavano semi di granaglie sfuggiti allo sguardo indagatore dei miseri spigolatori, scie di bava lasciate dalle chioccioline luccicavano al sole. L’eco delle campane di bronzo arrivava festoso dai paesi.

Oggi molte masserie, persa la vecchia funzione agricolo-pastorale, trasformate in agriturismi, offrono piatti tipici, presumibilmente genuini, per gli avventori di fine settimana e i turisti durante delle vacanze estive. Ampio il ventaglio dei servizi didattici per scolaresche assiepate per lunghi periodi in asfittiche aule. Increduli, i pargoli prendono dimestichezza con la produzione di pane, pasta, ricotta, mozzarelle, formaggi, miele. Vedono per la prima volta dal vivo pecore, capre, galline, conigli, che conoscono solo, stando in poltrona, dai cartoni animati, assaggiano la frutta e la verdura cogliendola con le proprie mani.

Stazione ferroviaria di Monte Altino, lungo la tratta Barletta Spinazzola, ormai in completo abbandono, un tempo i convogli accoglievano alle prime luci dell’alba i contadini, ancora assonnati, con bisacce a tracolla e zappe sulle spalle, che si riversavano nelle campagne circostanti, e li riprendevano, stracchi, affamati e coperti di polvere al calare del sole.

Pullulano ora per il territorio villette pretenziose e casette abusive di scarso pregio che accolgono soprattutto nei giorni festivi nugoli di gente che fugge dalla città per l’ingorgo del traffico, lo squallore del cemento e dell’asfalto. A decorarne l’accesso, piante di rose, buganvillee e strelitzie.

Canne della Battaglia è a due passi, se ne intravede il profilo mammellonare. Nascosto all’ombra di ulivi, un menhir, monumento preistorico costituita da una sola pietra, lunga circa tre metri, irregolare per forma, infissa verticalmente nel terreno, orientata in direzione est-ovest.

Nella via del ritorno gli animi vengono feriti alla vista di ampie zone ustionate che deturpano la base degli splendidi pini. Irresponsabili, dolosamente hanno appiccato il fuoco o sversato tossici prodotti chimici.

Arrivo. Ecco i giardini “Baden Powell”, sono ancora più belli della partenza. Una tavola imbandita con taralli, confetti, mozzarelline, pane casereccio, corposo vino e splendida amicizia riescono in poche battute a rinfrancare gli animi e ad auspicare che esperienze del genere si ripetano.

La descrizione particolareggiata della scampagnata, in bicicletta, fa del testo di Domenico Dalba, una vera poesia. La lettura sembra ti porti in tempi non lontani e ti affastella la mente di piacevoli episodi, a volta briosi altre volte inavvertitamente azzardati da farti riconoscere il proprio vissuto accarezzandone memorie e cicatrici. Bravissimo per il tuo testo Domenico.

Grazie per questa bella testimonianza! C’è stato un tempo che in bicicletta ho esplorato i sentieri della nostra bellissima campagna, disseminata di resti di antiche masserie; segnalo la presenza di una antica nevaia presso la masseria canne, a ridosso del menhir e appena sopra il sentiero che conduce alla fontana di san Ruggiero, interessante reperto utilizzato per la conservazione e la refrigerazione alimentare.

Ho percorso con te, Domenico, il viaggio per le antiche masserie del nostro territorio. Resti di una civiltà contadina semplice anche se dura e non priva di difficoltà. Grazie per questo regalo.

Racconto di una gita molto particolareggiato ,dove si mescolano gli usi e costumi di una campagna del passato ,ricca di nozioni su piante, fiori e sementi. .. Indubbiamente il racconto si arricchisce di informazioni visive e olfattive tanto da immaginare di essere in bici insieme a loro!!

Emerge dall’articolo, che è più una lirica alla vita, quanto di bello c’è nelle nostre campagne e quanto l’uomo moderno distrattamente ne ha minacciato l’esistenza. Un amministratore attento al bene del proprio territorio dovrebbe estrarne i tanti suggerimenti di cui è intriso il brano e svilupparli individuando, in primis, le misure per risanare le antiche masserie e i territori contermini. Congratulazioni Domenico!

Una fotografia che racchiude una giornata estiva girando per campagne e masserie del nostro territorio. Sì, ma un’ immagine plastica, dinamica che prende per mano il lettore e lo porta con sé facendolo com- partecipare alla scampagnata. Ho avvertito i bruschi contraccolpi per le numerose buche dello sterrato, stemperati subito dopo dalla meraviglia di manti rossi, gialli e bianchi di papaveri e margherite. Mi sono intenerita guardando i resti abbandonati di antiche masserie presenti nel nostro territorio che un tempo trasudavano di vita contadina. Grazie Mimmo per avermi portata con te alla scoperta di masserie locali.

Grazie,una descrizione del territorio reale.

Bellissima descrizione di un viaggio alla scoperta del territorio. Pur non avendo partecipato direttamente, ho “assaporato” le tue descrizioni, che tra natura, storia dell’evoluzione del paesaggio, di usi, costumi e consuetudini, ha fatto rivivere luoghi purtroppo abbandonati all’incuria ed al degrado. Su tutto è emersa la tua passione per i doni che la terra e la Vita ci offrono. Grazie Domenico per questa condivisione, che rinfranca e sostiene il nostro animo, il nostro sguardo, aiutandoci così a guardare “aldilà del muro”.

Pedalando in bicicletta, senza fretta, la domenica mattina tra ulivi, papaveri, viti, orzo e avena! Goggiole di Felicità! Grazie Domenico!

Gocciole di Felicità! Grazie Domenico

Bell’articolo interessante, le descrizioni invogliano a voler visitare quei posti evocativi!!! Un giorno verrò a perdermi in quel di Barletta e dintorni!!!! Un caro saluto a Te Domenico !!

Ancora una volta ,caro Mimmo, hai dimostrato tutto il tuo talento descrivendo il nostro attuale mondo rurale. Hai approfittato della bicicletta, antica amica dei percorsi ecologici, per evidenziare ,specialmente ai giovani le tante bellezze che ancora oggi, malgrado l’impegno di tanti “zozzoni”,la campagna ci offre. Un particolare apprezzamento va al tuo tacito invito ai ragazzi di frequentare la realtà degli animali,piuttosto che accontentarsi dei cartoni animati. Questo tuo articolo merita, secondo il mio modesto parere, di essere letto da tutti,ma specialmente dai giovani che, forse, potrebbero “scoprire” che la campagna é la nostra vita e meriterebbe più rispetto. Ti ringrazio per questo tuo Capolavoro e ti abbraccio fraternamente. Fabrizio.

grazie Domenico leggendo questo articolo ho assaporato i profumi della campagna, la bellezza degli spazi aperti e la nostra splendida natura, purtroppo bistrattata e non adeguatamente protetta dai nostri rappresentanti politici. Un racconto emozionante, interessante che ho letto tutto d’un fiato.

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